GASPORT (A. DE CALO') - Cinque 0-0 non li vedevamo tutti assieme, in una sola giornata di Serie A, da prima che crollasse il Muro di Berlino. Venti e passa anni. Roba premoderna.
Quella volta un pari valeva la metà della vittoria: un punto contro due. Dal 1994-95 è crollato anche quel tabù, che così a lungo è stato asse portante del calcio italiano e italianista. Da allora il pareggio è svalutato, ridotto a un terzo del bottino di un successo. Come dire: lo 0-0 conviene meno di prima. Difatti, col tempo, il numero si è ridotto. Ma adesso siamo di fronte a un rigurgito imbarazzante.
Cinque partite su dieci finite senza gol fanno scattare l'allarme rosso. Siamo al 50 per cento. Sono il segno di una tendenza che deve preoccupare. Nel 2002-03, dopo sei giornate di campionato, si era registrato soltanto uno 0-0. Dopo, l'asticella si è mossa ad altalena finché nelle ultime quattro stagioni si è messa a crescere decisamente, in modo verticale. Dai 4 pari senza gol dei primi sei turni del 2008-09 siamo arrivati agli 11 attuali, passando per i 7 del 2009-10 e gli 8 dell'anno scorso.
Non c'è un altro campionato al mondo, tra quelli importanti, che colleziona simili cifre. Nessun torneo ha chiuso questo weekend senza lasciare la traccia di uno stupido o misero gollonzo sulla metà delle partite in programma. Come mai, in Italia, siamo così distanti dalla normalità? Incidono diversi fattori, e c'è anche qualcosa di casuale. Del Piero, a Verona, ha centrato un palo, il Genoa ha colpito due volte i legni della porta del Lecce, così come il Cesena contro la Fiorentina. Questione di centimetri. Ma non basta per spiegare. Se Atalanta e Udinese, squadre di rendimento — apprezzate per come giocano in questo inizio di stagione — fanno quattro tiri in porta (3 e 1) nell'arco dei 90 minuti è abbastanza normale che il conto finale rimanga ancorato sullo zero. In Italia si segna meno che in Inghilterra (2,8 reti a partita), Spagna (2,5), Germania (2,8) e Francia (2,6). La differenza non è abissale, ma esiste: 2,37 gol per match dopo le prime 60 di questa stagione. Da noi mancano i grandi cannonieri. Se Palacio e Giovinco comandano la classifica dei bomber ci dev'essere una ragione. Forse la stessa che tiene le prime tredici squadre della A confuse in 4 punti. E' un equilibrio al ribasso.
Si segna poco perché si tira poco e male verso la porta. Le nostre squadre, quasi tutte, sanno come chiudersi e ripartire. Ma quando devono attaccare a viso aperto si trovano in difficoltà: non sono preparate. Ogni allenatore guarda giustamente al proprio orticello perché è terrorizzato di perdere la panchina. Anche uno 0-0 può salvarlo. Il problema è la somma degli orticelli: avanti così non si salva il pubblico e non ci salviamo noi.
Quella volta un pari valeva la metà della vittoria: un punto contro due. Dal 1994-95 è crollato anche quel tabù, che così a lungo è stato asse portante del calcio italiano e italianista. Da allora il pareggio è svalutato, ridotto a un terzo del bottino di un successo. Come dire: lo 0-0 conviene meno di prima. Difatti, col tempo, il numero si è ridotto. Ma adesso siamo di fronte a un rigurgito imbarazzante.
Cinque partite su dieci finite senza gol fanno scattare l'allarme rosso. Siamo al 50 per cento. Sono il segno di una tendenza che deve preoccupare. Nel 2002-03, dopo sei giornate di campionato, si era registrato soltanto uno 0-0. Dopo, l'asticella si è mossa ad altalena finché nelle ultime quattro stagioni si è messa a crescere decisamente, in modo verticale. Dai 4 pari senza gol dei primi sei turni del 2008-09 siamo arrivati agli 11 attuali, passando per i 7 del 2009-10 e gli 8 dell'anno scorso.
Non c'è un altro campionato al mondo, tra quelli importanti, che colleziona simili cifre. Nessun torneo ha chiuso questo weekend senza lasciare la traccia di uno stupido o misero gollonzo sulla metà delle partite in programma. Come mai, in Italia, siamo così distanti dalla normalità? Incidono diversi fattori, e c'è anche qualcosa di casuale. Del Piero, a Verona, ha centrato un palo, il Genoa ha colpito due volte i legni della porta del Lecce, così come il Cesena contro la Fiorentina. Questione di centimetri. Ma non basta per spiegare. Se Atalanta e Udinese, squadre di rendimento — apprezzate per come giocano in questo inizio di stagione — fanno quattro tiri in porta (3 e 1) nell'arco dei 90 minuti è abbastanza normale che il conto finale rimanga ancorato sullo zero. In Italia si segna meno che in Inghilterra (2,8 reti a partita), Spagna (2,5), Germania (2,8) e Francia (2,6). La differenza non è abissale, ma esiste: 2,37 gol per match dopo le prime 60 di questa stagione. Da noi mancano i grandi cannonieri. Se Palacio e Giovinco comandano la classifica dei bomber ci dev'essere una ragione. Forse la stessa che tiene le prime tredici squadre della A confuse in 4 punti. E' un equilibrio al ribasso.
Si segna poco perché si tira poco e male verso la porta. Le nostre squadre, quasi tutte, sanno come chiudersi e ripartire. Ma quando devono attaccare a viso aperto si trovano in difficoltà: non sono preparate. Ogni allenatore guarda giustamente al proprio orticello perché è terrorizzato di perdere la panchina. Anche uno 0-0 può salvarlo. Il problema è la somma degli orticelli: avanti così non si salva il pubblico e non ci salviamo noi.
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