GASPORT (P. ARCHETTI) - Giuseppe Rossi è un figlio legittimo della Champions. Troppo giovane per aver vissuto la Coppa Campioni, che cambiò denominazione nel '92-93, quando Pepito aveva soltanto cinque anni.
«Eppure ricordo ancora quando la scoprii, da bambino. Abitavo negli Stati Uniti, tornai da scuola e guardai con mio padre Paris Sg-Milan. Ricordo il portiere Lama. Noi in famiglia eravamo milanisti, ma mio papà vedeva partite di ogni tipo, era appassionato e allenatore. Io però non capivo perché una squadra italiana incontrasse una francese. E' la Coppa dei Campioni, mi venne spiegato».
In verità era già una semifinale di Champions (aprile '95, passò il Milan), anche se il nome ancora non si era spostato dalla Uefa al linguaggio comune.
Dieci anni dopo, quel bimbo entra nella competizione. Come?
«Un paio di presenze, nel 2005: una nel preliminare con il Debrecen, l'altra nei gironi, in Lilla-Manchester United. Eravamo ragazzini: non solo io, diciottenne; pure Cristiano Ronaldo e Rooney, ventenni. Ogni match ci sembrava sempre la partita dell'anno: atmosfera, emozione, entusiasmo. Ferguson però ci riportava sulla terra».
In che modo?
«Raffreddava la tensione parlando come se stessimo giocando un turno iniziale di Coppa di lega. Gestiva la squadra così, con l'esperienza. E ci riusciva sempre: perché lui è Ferguson».
Tornerà a Manchester, contro il City, per questo gruppo. In Germania pensano che Villarreal e Napoli giocheranno per l'Europa League.
«Non sono d'accordo. E' il girone più duro: grandi squadre, con acquisti di lusso. Ma non siamo sfavoriti: non si passa con il nome».
Il Bayern ha vinto 7-0 sabato. In 8 gare stagionali ha segnato 22 gol e ne ha incassato uno. Imbattibile?
«Noi non siamo il Friburgo, con tutto il rispetto. Questa è la Champions, in casa vogliamo imporre il nostro gioco e non cambieremo filosofia con il Bayern. Poi penseremo a Napoli e City».
Che tipo di rapporto ha con Balotelli?
«Mi trovo bene con lui, ha voglia di mettersi in mostra, è sensibile e tranquillo. Non è il bad boy che viene descritto».
Le ha consigliato qualche posto per non annoiarsi a Manchester?
«Quando iniziamo a parlare, l'argomento è sempre la città. Ma è lui che me la racconta, mi fa tornare in mente tanti bei ricordi».
Un giocatore italiano di primo piano come lei all'estero viene rispettato o snobbato, vista la situazione del nostro calcio?
«Quello che succede fuori dal campo potrebbe danneggiare chiunque, ma io mi sento rispettato. Sono contento di stare dove sono».
Ma non si sente sminuito? La volevano molte big: perché è rimasto?
«Siamo in Champions (ha segnato 2 gol nel preliminare, n.d.r.), anche il Villarreal fa parte delle migliori. Il mercato è strano, forse nessuno sa, e neanche io, come finiscono le trattative. Però non ho alcun rimpianto».
Almeno allo stadio hanno rinforzato quella balaustra che si era piegata sotto il peso dei tifosi del Napoli, lo scorso febbraio in Europa League?
«Spero di sì: stavolta ne verranno molti di più».
«Eppure ricordo ancora quando la scoprii, da bambino. Abitavo negli Stati Uniti, tornai da scuola e guardai con mio padre Paris Sg-Milan. Ricordo il portiere Lama. Noi in famiglia eravamo milanisti, ma mio papà vedeva partite di ogni tipo, era appassionato e allenatore. Io però non capivo perché una squadra italiana incontrasse una francese. E' la Coppa dei Campioni, mi venne spiegato».
In verità era già una semifinale di Champions (aprile '95, passò il Milan), anche se il nome ancora non si era spostato dalla Uefa al linguaggio comune.
Dieci anni dopo, quel bimbo entra nella competizione. Come?
«Un paio di presenze, nel 2005: una nel preliminare con il Debrecen, l'altra nei gironi, in Lilla-Manchester United. Eravamo ragazzini: non solo io, diciottenne; pure Cristiano Ronaldo e Rooney, ventenni. Ogni match ci sembrava sempre la partita dell'anno: atmosfera, emozione, entusiasmo. Ferguson però ci riportava sulla terra».
In che modo?
«Raffreddava la tensione parlando come se stessimo giocando un turno iniziale di Coppa di lega. Gestiva la squadra così, con l'esperienza. E ci riusciva sempre: perché lui è Ferguson».
Tornerà a Manchester, contro il City, per questo gruppo. In Germania pensano che Villarreal e Napoli giocheranno per l'Europa League.
«Non sono d'accordo. E' il girone più duro: grandi squadre, con acquisti di lusso. Ma non siamo sfavoriti: non si passa con il nome».
Il Bayern ha vinto 7-0 sabato. In 8 gare stagionali ha segnato 22 gol e ne ha incassato uno. Imbattibile?
«Noi non siamo il Friburgo, con tutto il rispetto. Questa è la Champions, in casa vogliamo imporre il nostro gioco e non cambieremo filosofia con il Bayern. Poi penseremo a Napoli e City».
Che tipo di rapporto ha con Balotelli?
«Mi trovo bene con lui, ha voglia di mettersi in mostra, è sensibile e tranquillo. Non è il bad boy che viene descritto».
Le ha consigliato qualche posto per non annoiarsi a Manchester?
«Quando iniziamo a parlare, l'argomento è sempre la città. Ma è lui che me la racconta, mi fa tornare in mente tanti bei ricordi».
Un giocatore italiano di primo piano come lei all'estero viene rispettato o snobbato, vista la situazione del nostro calcio?
«Quello che succede fuori dal campo potrebbe danneggiare chiunque, ma io mi sento rispettato. Sono contento di stare dove sono».
Ma non si sente sminuito? La volevano molte big: perché è rimasto?
«Siamo in Champions (ha segnato 2 gol nel preliminare, n.d.r.), anche il Villarreal fa parte delle migliori. Il mercato è strano, forse nessuno sa, e neanche io, come finiscono le trattative. Però non ho alcun rimpianto».
Almeno allo stadio hanno rinforzato quella balaustra che si era piegata sotto il peso dei tifosi del Napoli, lo scorso febbraio in Europa League?
«Spero di sì: stavolta ne verranno molti di più».
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