mercoledì 31 agosto 2011

Elia corre. Juve, in fascia c'è un lottatore


GASPORT (A. BOCCI) - Eli è un lottatore, anche se il diminutivo fa un po' Disney (come quasi tutti i diminutivi, fra l'altro). Eli è cresciuto nel quartiere duro di una città dura, dalla quale provengono tifosi durissimi. A 12 anni ha preso il borsone e se n'è è andato al settore giovanile dell'Ajax: considerando che Eljero Elia è nato all'Aja e aveva cominciato al Den Haag, non un viaggio agevole.

Cambiamenti - Perché i rapporti fra l'Ajax e il Den Haag non sono di buon vicinato. Le partite di Eredivisie non sono gite di piacere per il club di Amsterdam, orgogliosamente detestato dai fan dell'Aja, eppure Eljero ha fatto lo yo-yo: primi calci al Den Haag, apprendistato all'Ajax, ritorno al Den Haag perché l'Ajax non voleva ancora fargli un contratto da professionista. Al Den Haag invece Eljero esordisce in campionato e prende il largo nel calcio olandese. Trasloca al Twente, provincia di lusso, perché il Den Haag rifiuta di cederlo ai nemici di Amsterdam che nel frattempo ci hanno ripensato. E da lì ad Amburgo, club che aveva già contribuito alla costruzione della carriera di Rafa van der Vaart.
Il suo piede destro - Ma Elia non è Rafa, colonna della nazionale nel suo ruolo, adorato dagli olandesi per la sua amabilità. L'immagine di Eljero è apparentemente diversa: Elia ha più tatuaggi di un baleniere e uno dei suoi miti è Quinton Rampage Jackson, campione di arti marziali estreme. Però Eljero studia economia e ha già famiglia. Un bad boy soltanto in superficie, insomma, per via di tutti quei tatuaggi e magari della maglietta osèe sfoggiata ieri all'arrivo in Italia. In campo, se c'è da lottare Elia lotta. Ed è per questo che molti commentatori olandesi scommettono su di lui e sulla sua consacrazione con la maglia della JuveElia ha carattere e sulla fascia sinistra, dal punto di vista tecnico, potrà dare tanto nonostante l'anomalia: è destro naturale e spesso cerca il centro, dribbla troppo e nel gioco collettivo non è un genio, ma in contropiede è micidiale. In Sudafrica l'Olanda si è arrampicata fino alla finale mondiale grazie all'estro di Sneijder e Robben, ma la spinta iniziale l'aveva data proprio Elia, già allora corteggiato dalla Juve.
Un lampo - 14 giugno 2010, partita d'esordio per gli arancioni contro la Danimarca, ed è come assistere a scene da un vecchio matrimonio. Le due squadre si conoscono benissimo, si annullano e il pubblico si annoia. L'Olanda va in vantaggio all'inizio del secondo tempo con un'autorete, però c'è poco da vedere finché non entra Elia. É lui a svegliare la partita e a provocare il secondo gol (segnato da Kuyt) con una delle sue galoppate. É lui a piacere più dei titolati compagni. Elia si era conquistato il biglietto per il Sudafrica all'ultimo momento, con un gol alla Scozia che probabilmente aveva convinto il c.t. Van Marwijk della sua utilità. L'impresa che non è riuscita a Urby Emanuelson è riuscita al neo juventino, che da allora, con quel suo piede destro molto migliore del sinistro, è diventato un habituèe fra gli oranje. Adesso in Serie A troverà Emanuelson e Van Bommel, Stekelenburg e, forse, Sneijder. Quello che per carattere gli somiglia più di tutti, perché ama la battaglia. Chissà se gli ha già raccontato che Inter e Juve sono quasi come Ajax e Den Haag.

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