CORSPORT (F. PATANIA) - Ha riscosso la fiducia del gruppo, a cui certo non poteva addebitare i fischi dell’Olimpico nei suoi confronti, perché se la Lazio prende due gol a partita e non esprime più lo stesso spirito battagliero della passata stagione l’allenatore è costretto a interrogarsi. Ha incassato il credito illimitato da Lotito, che lo ha difeso e continuerà a difenderlo con grandissima forza, ancora di più oggi, unitissimi e sulla stessa barca, condividendo ormai anche lo stesso linguaggio e modo di pensare.
Così è bastato un coro ostile, non certo una novità, alla prima sconfitta per scatenare il chiarimento interno richiesto da Reja per andare avanti. Se la sono suonata e se la sono cantata, come si dice a Roma. E oggi, dopo aver sventolato lo spauracchio delle dimissioni (mai realmente vicine), il tecnico friulano si presenterà in panchina a Cesena per capire se è riuscito davvero a svegliare laLazio e potrà cominciare il suo campionato.
Mister Reja, può fare il punto dopo quello che è successo nelle ultime ore?
«Non serve fare il punto. Lo sapete tutti per filo e per segno quello che è successo. Gli spifferi ci sono dappertutto, anche qui vicino alla Lazio. Ho avuto un confronto con la squadra, ho avuto un confronto con il presidente e dopo questo dibattito, questo chiarimento, d’accordo ho deciso di proseguire la mia avventura alla Lazio. Tutto qui. La situazione non era certo facile, sapete il disagio che ho a lavorare in un ambiente come questo, perché a Roma è difficile. Posso fare un paragone: il quadro è buono, è la cornice che è marcia. Io non devo solo vincere, qui devo stravincere. E non si può. E’ chiaro che l’altro giorno abbiamo perso, ci sono delle critiche, mi sembra normale, non abbiamo fatto una grande partita, però abbiamo fatto un buon primo tempo, creando delle buone opportunità. Ma qui c’è sempre una critica. E’ chiaro che anch’io mi faccio delle domande, mi metto in discussione. A questo punto avevo necessità di chiarire com’è la situazione all’interno. Ho parlato con la squadra, ho parlato con il presidente e qui abbiamo chiuso il discorso. Adesso guardiamo a Cesena con più equilibrio, perché io anche finita la partita con il Genoa avevo parlato con il presidente. Non è che mi alzo la mattina e dico “no basta, ho chiuso”. Ci sono dei confronti costanti. E allora abbiamo voluto confrontarci sotto questo punto di vista, perché le dimissioni si danno, si scrive, si manda la lettera alla società e uno se ne va. E avevo bisogno di trovare qualche sicurezza in più rispetto a quella che ho già. So che il presidente mi ha sempre stimato, è sempre stato vicino, sapendo bene anche i momenti di difficoltà, perché lui sa quali sono, sa tutto. Anche finito il campionato scorso, sapeva quali erano le mie intenzioni: sotto questo punto di vista non penso ci sia niente da chiarire. Adesso chiudiamo questa situazione e andiamo avanti, guardiamo avanti».
Resterà sino alla fine? Parla di quadro bello e cornice marcia, ma domenica prossima si rigiocherà all’Olimpico.
«Io ho avuto il conforto da parte del presidente, che c’è sempre stato. Ho avuto una valutazione positiva per quanto riguarda la squadra. E quindi continuiamo su questa strada, il più a lungo possibile, sino alla fine del campionato. Poi, è chiaro, siamo soggetti ai risultati. Se i risultati continueranno a venire, come abbiamo fatto sino a poco fa, a prima di domenica, è chiaro che continueremo. Altrimenti saranno decisioni che prenderà la società oppure troveremo insieme, perché non sono disposto a restare in un posto a dispetto dei santi».
Quindi sino a giugno non ci saranno ripensamenti?
«Le intenzioni sono queste, di proseguire. Poi, è chiaro, vediamo quello che succede. Qui da una settimana all’altra cambiano tante situazioni».
A parte il suo disagio per i fischi, qualcosa l’ha indotta a pensare alle dimissioni? La squadra non rende come dovrebbe?
«E’ chiaro, l’ho detto anche dopo il Genoa. La squadra attualmente, per i cambi che abbiamo fatto, giocatori nuovi con caratteristiche nuove, deve trovare sicuramente un equilibrio. Se abbiamo preso dei gol, è chiaro che qualche problema c’è, perché le sicurezze che avevamo nel passato erano queste: una squadra molto rocciosa, attenta, che concedeva poco nella fase difensiva. Qualche problema è venuto alla luce in questo periodo. E’ inutile nascondersi. A Milano ci sono stati degli errori individuali, ma non solo, perché c’è stato un discorso di reparto. La stessa cosa è successa con il Vaslui. Evidentemente c’è qualcosa da correggere, ma siamo all’inizio del campionato, abbiamo giocato due partite e siamo venuti fuori da Milano con una prestazione positiva: è passata una settimana, mica dei mesi. Qui una sconfitta viene valutata in una maniera esagerata, forse anche a ragione, perché vedendo la squadra come ha giocato qualche punto di domanda è venuto fuori anche a me. Ho il compito di correggere difficoltà che può avere la squadra. I confronti con la squadra servono anche a questo. Qualche correttivo bisognerà trovarlo».
Non crede che la cessione di Zarate sia ricaduta solo sulle sue spalle e abbia accentuato la contestazione?
«All’interno sappiamo come sono andate le cose, lo sa anche Mauro. E ripeto ancora: sono convintissimo che quest’anno farà bene, me lo auguro per lui, perché ha cambiato ambiente e si potrà mettere in discussione. E’ chiaro che avrà degli stimoli diversi, ma non dipende dal tecnico, o perché non lo mettevo o non lo consideravo, come si dice e non è vero, perché io non ho mai detto questo. E’ un giocatore dal talento straordinario, deve scattargli qualcosa, una molla. Qui non l’ha trovata, non so se per me, non so se per l’ambiente che gli ha concesso sicuramente tutto, anche prestazioni incolori. Lui si sentiva già il beniamino del pubblico e non ha dato da quando sono arrivato quello che aveva dato l’anno prima. Probabilmente aveva necessità di cambiare aria, di trovare stimoli in un grande club come l’Inter. Queste sono valutazioni che deve fare una società, non sono il proprietario dei cartellini. Se il malumore dei tifosi s’è inasprito è normale, penso che Mauro sia un beniamino. E’ chiaro che la sua cessione ha creato del malcontento, ma questo era prevedibile e lo sapevamo tutti, me compreso».
A Napoli la contestazione non l’aveva condizionata. Cos’è cambiato qui a Roma?
«Non sono cambiato. Ma non ho mai avuto incontri con la tifoseria, con i capi ultras, a Roma come a Napoli. Non vado in cerca di consensi. Sono un lavoratore di campo, nello spogliatoio, fianco a fianco con la società, non cerco successi. Non ho un’immagine positiva, mi può anche nuocere, forse anche questo è un motivo. A Napoli ho avuto delle difficoltà come sempre ha un allenatore, come ha avuto Spalletti a Roma, anche Capello è stato fischiato. Ci sono dei momenti di difficoltà e fa parte della nostra cultura e del modo di vivere il calcio. E’ la normalità. Ma non penso di essere stato criticato a Napoli per cinque anni in continuazione, ho avuto anche gratificazioni professionali e riconoscimenti umani, che contano più del lavoro, cosa che non ho avuto qui per esempio. Questo mi dispiace molto. Poi un allenatore è criticabile, è giusto. Ma cosa pensate? Che non mi metta in discussione? Lo faccio quotidianamente. Però sono vaccinato ed esperto per girare pagina e andare avanti. Delle volte bisogna mettersi i tappi nelle orecchie e continuare a remare più forte di prima. Ovviamente con il consenso del gruppo, perché senza quello, uno viene già sfiduciato a priori. Ma è una valutazione nei miei confronti di molti di voi e del pubblico che non hanno una grandissima considerazione del sottoscritto. Può essere un problema, a livello di stampa, di opinioni. Anche questo aiuta molto la tifoseria a spingere in una certa direzione. Ma questa è la piazza. Devo conviverci e andare avanti».
Quali risposte dal gruppo si aspetta a Cesena?
«C’è la partita e la mia attenzione è rivolta al Cesena. Non è una gara facile, lo abbiamo visto contro il Napoli, quando erano sull’1-1 e in parità numerica li hanno messi in difficoltà. Giochiamo su un terreno che non conosciamo, hanno una squadra forte, con il cambio di passo. Servirà una buona prestazione e un’intensità diversa rispetto a quella che abbiamo visto con il Genoa. Siamo partiti bene, ma non abbiamo retto. Qualcosa di più possiamo fare, mi aspetto questo».
Viene accusata di difensivismo e di non avere la mentalità vincente nonostante gli attaccanti messi in campo. Cosa risponde?
«Ho sempre cercato di mettere in campo squadre equilibrate. Quando sono arrivato facevamo una difesa a tre, l’ho cambiata l’anno scorso per cercare di esaltare le qualità del centrocampo, giocando con due attaccanti e due esterni. In carriera, prima al Pescara e poi al Cagliari, ho fatto il 4-3-3. Dipende dalle caratteristiche e quali giocatori hai a disposizione. Qui, mi sembra di averlo già spiegato prima, non è sufficiente vincere, ma bisogna stravincere. Perché all’interno la società è buona, la squadra è buona, il gruppo di lavoro è buono. E’ la cornice che è marcia. E’ una cornice in modo particolare che riguarda la Lazio, non dico Roma, mi sono sbagliato prima. Ci sono spesso e volentieri critiche fuori luogo, questo si nota normalmente. E’ il mio pensiero, sono da un anno e mezzo qui e penso di poterlo dire tranquillamente ».
Il cammino prosegue. Vuole dire qualcosa ai tifosi?
«Chiedo di stare vicino alla squadra, non per un discorso mio, perché la squadra ha bisogno e siamo nella fase iniziale del campionato. Ho avuto una promessa dai tifosi a Fiuggi, che sono venuti. Ho detto “deponiamo l’ascia di guerra e vediamo di aiutare la squadra”. Poi alla fine le responsabilità me le prendo, non sono mai scappato. Se c’è qualcosa che non va, sono il primo a fare il “mea culpa” e prendo le decisioni di conseguenza».
Si riparte dal 4-2-3-1 o cambierà qualcosa?
«Questo è il nostro modo di giocare, ma qualche accorgimento qualche volta bisogna adottarlo. Anche in base alle caratteristiche e alle condizioni tattiche della squadra avversaria, in modo da arginare bene e poi colpirli dove possono avere qualche difficoltà come ho sempre fatto. Fermo restando i due davanti e le condizioni di alcuni giocatori, perché è passato appena un giorno dal Genoa».
Hernanes sembra fuori forma?
«Hernanes ha solo bisogno di giocare, di andare sopra ai momenti di difficoltà. A Milano mi era piaciuto, aveva dato equilibrio, con il Genoa meno, restavano tutti e quattro su in fase offensiva. Così a centrocampo fai fatica. Bisogna correggere questo sistema e questo modo di interpretare il gioco. Ecco perché dico di porci qualche rimedio e trovare un equilibrio diverso».
Per un anno e mezzo ha lavorato benissimo. Negli ultimi tempi è successo qualcosa e ha sentito la società più distante?
«No, no, chiariamo, perché ho sentito le trasmissioni. Io, insieme con la società, abbiamo parlato di caratteristiche di giocatori e questi sono stati presi se vi riferite al mercato. Ho chiesto forza fisica e siamo andati di pari passo, in sintonia, con la società. Non posso chiedere fenomeni, ho chiesto caratteristiche e in base alla disponibilità e alle situazioni sono state scelti certi giocatori che a me vanno bene».
Il quadro è buono, l’ambiente è marcio. Si riferisce a tifosi e giornalisti. E’ una definizione forte.
«Correggo. Diciamo che la cornice è un po’ tarlata. Non è un discorso in senso generale. Ci sono delle situazioni che conoscete anche voi. Il problema c’è attorno alla Lazio, c’è sempre stato. Io mi faccio degli esami di coscienza quando parlo e quando vengo criticato»
Se i tifosi leggono che sono marci non si inaspriranno ancora di più?
«Correggo. Quando un quadro è tarlato, ci sono delle parti buone e delle parti bucate e va magari aggiustato».
Pensa che Cisse debba giocare a destra, vicino al guardalinee, dove ha giocato domenica?
«A Cisse non ho mai chiesto di giocare all’ala destra, ho detto di accentrarsi, di tenere una posizione di centro-destra in modo da partire più da lontano. Non gli ho chiesto mai di andare a fare l’ala destra. Lui forse va in cerca di spazi per sfruttare la sua velocità. A volte noi facciamo le azioni e lui è fermo sulla destra, magari recupera dopo una corsa, respira e poi riparte. Ma io non gli chiedo di stare lì».
Così è bastato un coro ostile, non certo una novità, alla prima sconfitta per scatenare il chiarimento interno richiesto da Reja per andare avanti. Se la sono suonata e se la sono cantata, come si dice a Roma. E oggi, dopo aver sventolato lo spauracchio delle dimissioni (mai realmente vicine), il tecnico friulano si presenterà in panchina a Cesena per capire se è riuscito davvero a svegliare laLazio e potrà cominciare il suo campionato.
Mister Reja, può fare il punto dopo quello che è successo nelle ultime ore?
«Non serve fare il punto. Lo sapete tutti per filo e per segno quello che è successo. Gli spifferi ci sono dappertutto, anche qui vicino alla Lazio. Ho avuto un confronto con la squadra, ho avuto un confronto con il presidente e dopo questo dibattito, questo chiarimento, d’accordo ho deciso di proseguire la mia avventura alla Lazio. Tutto qui. La situazione non era certo facile, sapete il disagio che ho a lavorare in un ambiente come questo, perché a Roma è difficile. Posso fare un paragone: il quadro è buono, è la cornice che è marcia. Io non devo solo vincere, qui devo stravincere. E non si può. E’ chiaro che l’altro giorno abbiamo perso, ci sono delle critiche, mi sembra normale, non abbiamo fatto una grande partita, però abbiamo fatto un buon primo tempo, creando delle buone opportunità. Ma qui c’è sempre una critica. E’ chiaro che anch’io mi faccio delle domande, mi metto in discussione. A questo punto avevo necessità di chiarire com’è la situazione all’interno. Ho parlato con la squadra, ho parlato con il presidente e qui abbiamo chiuso il discorso. Adesso guardiamo a Cesena con più equilibrio, perché io anche finita la partita con il Genoa avevo parlato con il presidente. Non è che mi alzo la mattina e dico “no basta, ho chiuso”. Ci sono dei confronti costanti. E allora abbiamo voluto confrontarci sotto questo punto di vista, perché le dimissioni si danno, si scrive, si manda la lettera alla società e uno se ne va. E avevo bisogno di trovare qualche sicurezza in più rispetto a quella che ho già. So che il presidente mi ha sempre stimato, è sempre stato vicino, sapendo bene anche i momenti di difficoltà, perché lui sa quali sono, sa tutto. Anche finito il campionato scorso, sapeva quali erano le mie intenzioni: sotto questo punto di vista non penso ci sia niente da chiarire. Adesso chiudiamo questa situazione e andiamo avanti, guardiamo avanti».
Resterà sino alla fine? Parla di quadro bello e cornice marcia, ma domenica prossima si rigiocherà all’Olimpico.
«Io ho avuto il conforto da parte del presidente, che c’è sempre stato. Ho avuto una valutazione positiva per quanto riguarda la squadra. E quindi continuiamo su questa strada, il più a lungo possibile, sino alla fine del campionato. Poi, è chiaro, siamo soggetti ai risultati. Se i risultati continueranno a venire, come abbiamo fatto sino a poco fa, a prima di domenica, è chiaro che continueremo. Altrimenti saranno decisioni che prenderà la società oppure troveremo insieme, perché non sono disposto a restare in un posto a dispetto dei santi».
Quindi sino a giugno non ci saranno ripensamenti?
«Le intenzioni sono queste, di proseguire. Poi, è chiaro, vediamo quello che succede. Qui da una settimana all’altra cambiano tante situazioni».
A parte il suo disagio per i fischi, qualcosa l’ha indotta a pensare alle dimissioni? La squadra non rende come dovrebbe?
«E’ chiaro, l’ho detto anche dopo il Genoa. La squadra attualmente, per i cambi che abbiamo fatto, giocatori nuovi con caratteristiche nuove, deve trovare sicuramente un equilibrio. Se abbiamo preso dei gol, è chiaro che qualche problema c’è, perché le sicurezze che avevamo nel passato erano queste: una squadra molto rocciosa, attenta, che concedeva poco nella fase difensiva. Qualche problema è venuto alla luce in questo periodo. E’ inutile nascondersi. A Milano ci sono stati degli errori individuali, ma non solo, perché c’è stato un discorso di reparto. La stessa cosa è successa con il Vaslui. Evidentemente c’è qualcosa da correggere, ma siamo all’inizio del campionato, abbiamo giocato due partite e siamo venuti fuori da Milano con una prestazione positiva: è passata una settimana, mica dei mesi. Qui una sconfitta viene valutata in una maniera esagerata, forse anche a ragione, perché vedendo la squadra come ha giocato qualche punto di domanda è venuto fuori anche a me. Ho il compito di correggere difficoltà che può avere la squadra. I confronti con la squadra servono anche a questo. Qualche correttivo bisognerà trovarlo».
Non crede che la cessione di Zarate sia ricaduta solo sulle sue spalle e abbia accentuato la contestazione?
«All’interno sappiamo come sono andate le cose, lo sa anche Mauro. E ripeto ancora: sono convintissimo che quest’anno farà bene, me lo auguro per lui, perché ha cambiato ambiente e si potrà mettere in discussione. E’ chiaro che avrà degli stimoli diversi, ma non dipende dal tecnico, o perché non lo mettevo o non lo consideravo, come si dice e non è vero, perché io non ho mai detto questo. E’ un giocatore dal talento straordinario, deve scattargli qualcosa, una molla. Qui non l’ha trovata, non so se per me, non so se per l’ambiente che gli ha concesso sicuramente tutto, anche prestazioni incolori. Lui si sentiva già il beniamino del pubblico e non ha dato da quando sono arrivato quello che aveva dato l’anno prima. Probabilmente aveva necessità di cambiare aria, di trovare stimoli in un grande club come l’Inter. Queste sono valutazioni che deve fare una società, non sono il proprietario dei cartellini. Se il malumore dei tifosi s’è inasprito è normale, penso che Mauro sia un beniamino. E’ chiaro che la sua cessione ha creato del malcontento, ma questo era prevedibile e lo sapevamo tutti, me compreso».
A Napoli la contestazione non l’aveva condizionata. Cos’è cambiato qui a Roma?
«Non sono cambiato. Ma non ho mai avuto incontri con la tifoseria, con i capi ultras, a Roma come a Napoli. Non vado in cerca di consensi. Sono un lavoratore di campo, nello spogliatoio, fianco a fianco con la società, non cerco successi. Non ho un’immagine positiva, mi può anche nuocere, forse anche questo è un motivo. A Napoli ho avuto delle difficoltà come sempre ha un allenatore, come ha avuto Spalletti a Roma, anche Capello è stato fischiato. Ci sono dei momenti di difficoltà e fa parte della nostra cultura e del modo di vivere il calcio. E’ la normalità. Ma non penso di essere stato criticato a Napoli per cinque anni in continuazione, ho avuto anche gratificazioni professionali e riconoscimenti umani, che contano più del lavoro, cosa che non ho avuto qui per esempio. Questo mi dispiace molto. Poi un allenatore è criticabile, è giusto. Ma cosa pensate? Che non mi metta in discussione? Lo faccio quotidianamente. Però sono vaccinato ed esperto per girare pagina e andare avanti. Delle volte bisogna mettersi i tappi nelle orecchie e continuare a remare più forte di prima. Ovviamente con il consenso del gruppo, perché senza quello, uno viene già sfiduciato a priori. Ma è una valutazione nei miei confronti di molti di voi e del pubblico che non hanno una grandissima considerazione del sottoscritto. Può essere un problema, a livello di stampa, di opinioni. Anche questo aiuta molto la tifoseria a spingere in una certa direzione. Ma questa è la piazza. Devo conviverci e andare avanti».
Quali risposte dal gruppo si aspetta a Cesena?
«C’è la partita e la mia attenzione è rivolta al Cesena. Non è una gara facile, lo abbiamo visto contro il Napoli, quando erano sull’1-1 e in parità numerica li hanno messi in difficoltà. Giochiamo su un terreno che non conosciamo, hanno una squadra forte, con il cambio di passo. Servirà una buona prestazione e un’intensità diversa rispetto a quella che abbiamo visto con il Genoa. Siamo partiti bene, ma non abbiamo retto. Qualcosa di più possiamo fare, mi aspetto questo».
Viene accusata di difensivismo e di non avere la mentalità vincente nonostante gli attaccanti messi in campo. Cosa risponde?
«Ho sempre cercato di mettere in campo squadre equilibrate. Quando sono arrivato facevamo una difesa a tre, l’ho cambiata l’anno scorso per cercare di esaltare le qualità del centrocampo, giocando con due attaccanti e due esterni. In carriera, prima al Pescara e poi al Cagliari, ho fatto il 4-3-3. Dipende dalle caratteristiche e quali giocatori hai a disposizione. Qui, mi sembra di averlo già spiegato prima, non è sufficiente vincere, ma bisogna stravincere. Perché all’interno la società è buona, la squadra è buona, il gruppo di lavoro è buono. E’ la cornice che è marcia. E’ una cornice in modo particolare che riguarda la Lazio, non dico Roma, mi sono sbagliato prima. Ci sono spesso e volentieri critiche fuori luogo, questo si nota normalmente. E’ il mio pensiero, sono da un anno e mezzo qui e penso di poterlo dire tranquillamente ».
Il cammino prosegue. Vuole dire qualcosa ai tifosi?
«Chiedo di stare vicino alla squadra, non per un discorso mio, perché la squadra ha bisogno e siamo nella fase iniziale del campionato. Ho avuto una promessa dai tifosi a Fiuggi, che sono venuti. Ho detto “deponiamo l’ascia di guerra e vediamo di aiutare la squadra”. Poi alla fine le responsabilità me le prendo, non sono mai scappato. Se c’è qualcosa che non va, sono il primo a fare il “mea culpa” e prendo le decisioni di conseguenza».
Si riparte dal 4-2-3-1 o cambierà qualcosa?
«Questo è il nostro modo di giocare, ma qualche accorgimento qualche volta bisogna adottarlo. Anche in base alle caratteristiche e alle condizioni tattiche della squadra avversaria, in modo da arginare bene e poi colpirli dove possono avere qualche difficoltà come ho sempre fatto. Fermo restando i due davanti e le condizioni di alcuni giocatori, perché è passato appena un giorno dal Genoa».
Hernanes sembra fuori forma?
«Hernanes ha solo bisogno di giocare, di andare sopra ai momenti di difficoltà. A Milano mi era piaciuto, aveva dato equilibrio, con il Genoa meno, restavano tutti e quattro su in fase offensiva. Così a centrocampo fai fatica. Bisogna correggere questo sistema e questo modo di interpretare il gioco. Ecco perché dico di porci qualche rimedio e trovare un equilibrio diverso».
Per un anno e mezzo ha lavorato benissimo. Negli ultimi tempi è successo qualcosa e ha sentito la società più distante?
«No, no, chiariamo, perché ho sentito le trasmissioni. Io, insieme con la società, abbiamo parlato di caratteristiche di giocatori e questi sono stati presi se vi riferite al mercato. Ho chiesto forza fisica e siamo andati di pari passo, in sintonia, con la società. Non posso chiedere fenomeni, ho chiesto caratteristiche e in base alla disponibilità e alle situazioni sono state scelti certi giocatori che a me vanno bene».
Il quadro è buono, l’ambiente è marcio. Si riferisce a tifosi e giornalisti. E’ una definizione forte.
«Correggo. Diciamo che la cornice è un po’ tarlata. Non è un discorso in senso generale. Ci sono delle situazioni che conoscete anche voi. Il problema c’è attorno alla Lazio, c’è sempre stato. Io mi faccio degli esami di coscienza quando parlo e quando vengo criticato»
Se i tifosi leggono che sono marci non si inaspriranno ancora di più?
«Correggo. Quando un quadro è tarlato, ci sono delle parti buone e delle parti bucate e va magari aggiustato».
Pensa che Cisse debba giocare a destra, vicino al guardalinee, dove ha giocato domenica?
«A Cisse non ho mai chiesto di giocare all’ala destra, ho detto di accentrarsi, di tenere una posizione di centro-destra in modo da partire più da lontano. Non gli ho chiesto mai di andare a fare l’ala destra. Lui forse va in cerca di spazi per sfruttare la sua velocità. A volte noi facciamo le azioni e lui è fermo sulla destra, magari recupera dopo una corsa, respira e poi riparte. Ma io non gli chiedo di stare lì».
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