mercoledì 21 settembre 2011

Reja: "Attorno a noi c'è del marcio"


CORSPORT (F. PATANIA) - Ha riscosso la fiducia del gruppo, a cui certo non poteva addebitare i fischi del­l’Olimpico nei suoi confronti, perché se la Lazio prende due gol a partita e non esprime più lo stes­so spirito battagliero della passata stagione l’al­lenatore è costretto a interrogarsi. Ha incassato il credito illimitato da Lotito, che lo ha difeso e continuerà a difenderlo con grandissima forza, ancora di più oggi, unitissimi e sulla stessa bar­ca, condividendo ormai anche lo stesso linguag­gio e modo di pensare.
Così è bastato un coro osti­le, non certo una novità, alla prima sconfitta per scatenare il chiarimento interno richiesto da Re­ja per andare avanti. Se la sono suonata e se la so­no cantata, come si dice a Roma. E oggi, dopo aver sventolato lo spauracchio delle dimissioni (mai realmente vicine), il tecnico friulano si pre­senterà in panchina a Cesena per capire se è riu­scito davvero a svegliare laLazio e potrà comin­ciare il suo campionato.
Mister Reja, può fare il punto dopo quello che è successo nelle ultime ore?

«Non serve fare il punto. Lo sapete tutti per filo e per segno quello che è successo. Gli spifferi ci sono dappertutto, anche qui vicino alla Lazio. Ho avuto un confronto con la squadra, ho avuto un confronto con il presidente e dopo questo dibat­tito, questo chiarimento, d’accordo ho deciso di proseguire la mia avventura alla Lazio. Tutto qui. La situazione non era certo facile, sapete il disa­gio che ho a lavorare in un ambiente come que­sto, perché a Roma è difficile. Posso fare un pa­ragone: il quadro è buono, è la cornice che è mar­cia. Io non devo solo vincere, qui devo stravince­re. E non si può. E’ chiaro che l’altro giorno ab­biamo perso, ci sono delle critiche, mi sembra normale, non abbiamo fatto una grande partita, però abbiamo fatto un buon primo tempo, crean­do delle buone opportunità. Ma qui c’è sempre una critica. E’ chiaro che anch’io mi faccio delle domande, mi metto in discussione. A questo pun­to avevo necessità di chiarire com’è la situazione all’interno. Ho parlato con la squadra, ho parlato con il presidente e qui abbiamo chiuso il discor­so. Adesso guardiamo a Cesena con più equili­brio, perché io anche finita la partita con il Genoa avevo parlato con il presidente. Non è che mi al­zo la mattina e dico “no basta, ho chiuso”. Ci so­no dei confronti costanti. E allora abbiamo volu­to confrontarci sotto questo punto di vista, perché le dimissioni si danno, si scrive, si manda la let­tera alla società e uno se ne va. E avevo bisogno di trovare qualche sicurezza in più rispetto a quella che ho già. So che il presidente mi ha sem­pre stimato, è sempre stato vicino, sapendo bene anche i momenti di difficoltà, perché lui sa quali sono, sa tutto. Anche finito il campionato scorso, sapeva quali erano le mie intenzioni: sotto questo punto di vista non penso ci sia niente da chiarire. Adesso chiudiamo questa situazione e andiamo avanti, guardiamo avanti».
Resterà sino alla fine? Parla di quadro bello e cornice marcia, ma domenica prossima si rigio­cherà all’Olimpico.
«Io ho avuto il conforto da parte del presidente, che c’è sempre stato. Ho avuto una valutazione positiva per quanto riguarda la squadra. E quin­di continuiamo su questa strada, il più a lungo possibile, sino alla fine del campionato. Poi, è chiaro, siamo soggetti ai risultati. Se i risultati continueranno a venire, come abbiamo fatto sino a poco fa, a prima di domenica, è chiaro che con­tinueremo. Altrimenti saranno decisioni che prenderà la società oppure troveremo insieme, perché non sono disposto a restare in un posto a dispetto dei santi».
Quindi sino a giugno non ci saranno ripensamen­ti?

«Le intenzioni sono queste, di proseguire. Poi, è chiaro, vediamo quello che succede. Qui da una settimana all’altra cambiano tante situazioni».
A parte il suo disagio per i fischi, qualcosa l’ha indotta a pensare alle dimissioni? La squadra non rende come dovrebbe?

«E’ chiaro, l’ho detto anche dopo il Genoa. La squadra attualmente, per i cambi che abbiamo fatto, giocatori nuovi con caratteristiche nuove, deve trovare sicuramente un equilibrio. Se ab­biamo preso dei gol, è chiaro che qualche proble­ma c’è, perché le sicurezze che avevamo nel pas­sato erano queste: una squadra molto rocciosa, attenta, che concedeva poco nella fase difensiva. Qualche problema è venuto alla luce in questo periodo. E’ inutile nascondersi. A Milano ci sono stati degli errori individuali, ma non solo, perché c’è stato un discorso di reparto. La stessa cosa è successa con il Vaslui. Evidentemente c’è qualco­sa da correggere, ma siamo all’inizio del campio­nato, abbiamo giocato due partite e siamo venu­ti fuori da Milano con una prestazione positiva: è passata una settimana, mica dei mesi. Qui una sconfitta viene valutata in una maniera esagera­ta, forse anche a ragione, perché vedendo la squadra come ha giocato qualche punto di do­manda è venuto fuori anche a me. Ho il compito di correggere difficoltà che può avere la squa­dra. I confronti con la squadra servono anche a questo. Qualche correttivo bisognerà trovarlo».
Non crede che la cessione di Zarate sia ricaduta solo sulle sue spalle e abbia accentuato la conte­stazione?

«All’interno sappiamo come sono andate le cose, lo sa anche Mauro. E ripeto ancora: sono convin­tissimo che quest’anno farà bene, me lo auguro per lui, perché ha cambiato ambiente e si potrà mettere in discussione. E’ chiaro che avrà degli stimoli diversi, ma non dipende dal tecnico, o per­ché non lo mettevo o non lo consideravo, come si dice e non è vero, perché io non ho mai detto que­sto. E’ un giocatore dal talento straordinario, de­ve scattargli qualcosa, una molla. Qui non l’ha trovata, non so se per me, non so se per l’ambien­te che gli ha concesso sicuramente tutto, anche prestazioni incolori. Lui si sentiva già il beniami­no del pubblico e non ha dato da quando sono ar­rivato quello che aveva dato l’anno prima. Proba­bilmente aveva necessità di cambiare aria, di tro­vare stimoli in un grande club come l’Inter. Que­ste sono valutazioni che deve fare una società, non sono il proprietario dei cartellini. Se il malu­more dei tifosi s’è inasprito è normale, penso che Mauro sia un beniamino. E’ chiaro che la sua ces­sione ha creato del malcontento, ma questo era prevedibile e lo sapevamo tutti, me compreso».
A Napoli la contestazione non l’aveva condiziona­ta. Cos’è cambiato qui a Roma?

«Non sono cambiato. Ma non ho mai avuto incon­tri con la tifoseria, con i capi ultras, a Roma co­me a Napoli. Non vado in cerca di consensi. Sono un lavoratore di campo, nello spogliatoio, fianco a fianco con la società, non cerco successi. Non ho un’immagine positiva, mi può anche nuocere, for­se anche questo è un motivo. A Napoli ho avuto delle difficoltà come sempre ha un allenatore, co­me ha avuto Spalletti a Roma, anche Capello è stato fischiato. Ci sono dei momenti di difficoltà e fa parte della nostra cultura e del modo di vive­re il calcio. E’ la normalità. Ma non penso di es­sere stato criticato a Napoli per cinque anni in continuazione, ho avuto anche gratificazioni pro­fessionali e riconoscimenti umani, che contano più del lavoro, cosa che non ho avuto qui per esempio. Questo mi dispiace molto. Poi un allena­tore è criticabile, è giusto. Ma cosa pensate? Che non mi metta in discussione? Lo faccio quotidia­namente. Però sono vaccinato ed esperto per gi­rare pagina e andare avanti. Delle volte bisogna mettersi i tappi nelle orecchie e continuare a re­mare più forte di prima. Ovviamente con il con­senso del gruppo, perché senza quello, uno viene già sfiduciato a priori. Ma è una valutazione nei miei confronti di molti di voi e del pubblico che non hanno una grandissima considerazione del sottoscritto. Può essere un problema, a livello di stampa, di opinioni. Anche questo aiuta molto la tifoseria a spingere in una certa direzione. Ma questa è la piazza. Devo conviverci e andare avanti».
Quali risposte dal gruppo si aspetta a Cesena?
«C’è la partita e la mia attenzione è rivolta al Ce­sena. Non è una gara facile, lo abbiamo visto con­tro il Napoli, quando erano sull’1-1 e in parità nu­merica li hanno messi in difficoltà. Giochia­mo su un terreno che non conosciamo, han­no una squadra forte, con il cambio di passo. Servirà una buona prestazione e un’intensità diversa rispetto a quella che abbiamo visto con il Genoa. Siamo partiti bene, ma non ab­biamo retto. Qualcosa di più possiamo fare, mi aspetto questo».
Viene accusata di difensivismo e di non ave­re la mentalità vincente nonostante gli at­taccanti messi in campo. Cosa risponde?

«Ho sempre cercato di mettere in campo squadre equilibrate. Quando sono arrivato fa­cevamo una difesa a tre, l’ho cambiata l’anno scorso per cercare di esaltare le qualità del centrocampo, giocando con due attaccanti e due esterni. In carriera, prima al Pescara e poi al Cagliari, ho fatto il 4-3-3. Dipende dal­le caratteristiche e quali giocatori hai a di­sposizione. Qui, mi sembra di averlo già spie­gato prima, non è sufficiente vincere, ma bi­sogna stravincere. Perché all’interno la so­cietà è buona, la squadra è buona, il gruppo di lavoro è buono. E’ la cornice che è marcia. E’ una cornice in modo particolare che ri­guarda la Lazio, non dico Roma, mi sono sbagliato prima. Ci sono spesso e volentieri critiche fuori luogo, questo si nota normal­mente. E’ il mio pensiero, sono da un anno e mezzo qui e penso di poterlo dire tranquilla­mente ».

Il cammino prosegue. Vuole dire qualcosa ai tifosi?
«Chiedo di stare vicino alla squadra, non per un discorso mio, perché la squadra ha biso­gno e siamo nella fase iniziale del campiona­to. Ho avuto una promessa dai tifosi a Fiug­gi, che sono venuti. Ho detto “deponiamo l’ascia di guerra e vediamo di aiutare la squa­dra”. Poi alla fine le responsabilità me le prendo, non sono mai scappato. Se c’è qual­cosa che non va, sono il primo a fare il “mea culpa” e prendo le decisioni di conseguenza».
Si riparte dal 4-2-3-1 o cambierà qualco­sa?

«Questo è il nostro modo di giocare, ma qualche accorgimento qualche volta biso­gna adottarlo. Anche in base alle caratte­ristiche e alle condizioni tattiche della squadra avversaria, in modo da arginare bene e poi colpirli dove possono avere qualche difficoltà come ho sempre fatto. Fermo restando i due davanti e le condi­zioni di alcuni giocatori, perché è passato appena un giorno dal Genoa».
Hernanes sembra fuori forma?
«Hernanes ha solo bisogno di giocare, di andare sopra ai momenti di difficoltà. A Milano mi era piaciuto, aveva dato equili­brio, con il Genoa meno, restavano tutti e quattro su in fase offensiva. Così a centro­campo fai fatica. Bisogna correggere que­sto sistema e questo modo di interpretare il gioco. Ecco perché dico di porci qualche rimedio e trovare un equilibrio diverso».
Per un anno e mezzo ha lavorato benis­simo. Negli ultimi tempi è successo qualcosa e ha sentito la società più di­stante?

«No, no, chiariamo, perché ho sentito le trasmissioni. Io, insieme con la società, ab­biamo parlato di caratteristiche di gioca­tori e questi sono stati presi se vi riferite al mercato. Ho chiesto forza fisica e siamo andati di pari passo, in sintonia, con la so­cietà. Non posso chiedere fenomeni, ho chiesto caratteristiche e in base alla dispo­nibilità e alle situazioni sono state scelti certi giocatori che a me vanno bene».
Il quadro è buono, l’ambiente è marcio. Si riferisce a tifosi e giornalisti. E’ una defi­nizione forte.
«Correggo. Diciamo che la cornice è un po’ tarlata. Non è un discorso in senso ge­nerale. Ci sono delle situazioni che cono­scete anche voi. Il problema c’è attorno alla Lazio, c’è sempre stato. Io mi faccio degli esami di coscienza quando parlo e quando vengo criticato»
Se i tifosi leggono che sono marci non si inaspriranno ancora di più?

«Correggo. Quando un quadro è tarlato, ci sono delle parti buone e delle parti buca­te e va magari aggiustato».
Pensa che Cisse debba giocare a destra, vicino al guardalinee, dove ha giocato do­menica?

«A Cisse non ho mai chiesto di giocare al­l’ala destra, ho detto di accentrarsi, di te­nere una posizione di centro-destra in mo­do da partire più da lontano. Non gli ho chiesto mai di andare a fare l’ala destra. Lui forse va in cerca di spazi per sfrutta­re la sua velocità. A volte noi facciamo le azioni e lui è fermo sulla destra, magari recupera dopo una corsa, respira e poi ri­parte. Ma io non gli chiedo di stare lì».

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