venerdì 9 settembre 2011

«Batto l'Inter all'esordio, così convinco Zamparini»


GASPORT (F. CARUSO) - Ogni maledetta domenica. É il film che Devis Mangia ha scelto come per la vigilia più lunga e più importante della sua vita sportiva. Pellicola del '99 di Oliver Stone con Al Pacino allenatore di una squadra di football.
La chiave è il monologo di 4' del vecchio coach, Tony D'Amato, nello spogliatoio prima di una partita che cambierà la storia del campionato, della sua squadra e che rimetterà in carreggiata pure lui. Il succo è che «la vita è un gioco di centimetri e così il football, nell'una e nell'altro il margine di errore è ridottissimo... Fa la differenza fra la vittoria e la sconfitta, fra vivere e morire». A Devis Mangia, giovane guida del Palermo che salta sul carrozzone dorato della Serie A, fresco di Primavera, piacciono la suggestione e la motivazione.
Zamparini, invece cosa le ha detto consegnandole le chiavi dello spogliatoio?
«Solo "E ora sono c... tuoi" nè più, nè meno. Del resto con me il presidente è stato chiarissimo. Mi ha spiegato con sincerità e onestà che potrei essere di passaggio se le cose non dovessero andare per il verso giusto. E io ho risposto di essere pronto a mettermi in gioco, è una possibilità che voglio vivere nel migliore dei modi».
Ma anche con la paura e la consapevolezza di potersi bruciare?
«No, perché faccio comunque il mestiere che amo di più e non voglio farlo da perdente».
Come ha fatto un portiere dilettante che smise di giocare a 20 anni, a farsi corteggiare da Sacchi e diventare allenatore di A a 37?
«Cominciamo dall'inizio: ho scelto la porta perché mio papà giocava in quel ruolo. Quando però ho capito che non avrei fatto strada, ho detto basta. Come all'università, dopo la maturità scientifica mi sono iscritto a giurisprudenza, ma ho dato solo qualche esame».
Perché ormai aveva deciso di fare l'allenatore?
«Beh, se è per questo, la decisione l'avevo presa molto prima, quando giocavo con gli Allievi dell'Enotria, squadretta milanese dove sono nato, rompevo le scatole all'allenatore per spiegargli come dovevamo giocare. Ma lo facevo nel modo giusto».
Come ha fatto a dire no a Sacchi che voleva portarla in Figc?
«Perché ormai mi ero impegnato col Palermo. Con Sacchi ci eravamo conosciuti telefonicamente alle ultime finali nazionali Primavera (il suo Varese ha perduto lo scudetto in extremis contro la Roma, ndr) e so che voleva affidarmi una nazionale giovanile. Spero di poterlo incontrare presto: è il tecnico italiano che stimo di più».
E di Guardiola, a cui oggi lei viene paragonato, cosa pensa?
«Intanto, smettiamola con questi accostamenti irriverenti: io non ho ancora fatto niente di niente, lui è uno dei più grandi al mondo. Ma non è l'unico, anche Mourinho ad esempio è molto preparato».
Casualmente quello che ha vinto tutto all'Inter, la sua squadra del cuore.
«Lo ammetto, il nerazzurro è il mio colore preferito, non solo perché milanese ma anche perché sono un bastian contrario. Nella mia famiglia erano tutti milanisti o juventini».
Quindi vincere domenica contro l'Inter sarebbe una gioia doppia?
«Certo, ma non per questa ragione. Sarei felice perché sono al Palermo e battere una grande al debutto in A sarebbe il massimo».
Cosa farà lunedì se davvero dovesse vincere il Palermo?
«Sono scaramantico quanto e più di un siciliano: avrei da assolvere a un compito. Non posso svelarvi quale».
Ci dice la prima cosa che le è passata per la mente quando ha saputo di allenare il Palermo?
«Una gioia che non so descrivere, ma so che il bello deve ancora venire. Non credo di avere capito bene quel che mi è capitato. Me ne accorgerò appieno solo entrando sul prato del Barbera stracolmo di tifosi». A quel punto capirà che il primo centimetro non finisce mai.

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