mercoledì 31 agosto 2011

«Italia alla Barcellona» Se lo dice anche Pirlo...


GASPORT (A. ELEFANTE) - Se ci fosse un Barcellona in Italia, beh quello saremmo noi: l'ItaliaAndrea Pirlo condisce nuove consapevolezze e progetti ambiziosi con un condizionale che sa di obiettività nel misurare certe distanze: lunedì sera era davanti alla tv anche lui - come mezza Nazionale - per vedere Messi &
C. accecare il Villarreal con la luce del loro calcio spaziale, dunque gli pare giusto riconoscere che «oggi il Barça è probabilmente imbattibile. Cultura calcistica unica, figlia della loro "cantera" che in prima squadra manda giocatori già bravi: poi, lì, diventano dei campioni. Giocano a memoria, ed è un gioco entusiasmante: vederli è uno spettacolo».
Come il Milan di Ancelotti - Quel che piace si prova ad imitare, e questo vale per tutti, non solo per i ragazzini di una «cantera». Vale anche per gente che ha 32 anni e alle spalle 75 partite con la Nazionale, figuriamoci gli altri. E se Prandelli ha sempre bollato come blasfemi paralleli troppo stretti fra la sua Italia e il Barça, Pirlo, pur con i necessari distinguo, non rifiuta il modello, anzi: «É vero, anche noi proviamo a giocare così, giorno dopo giorno: il Barcellona è un modello e sì, credo che in Italia non ci sia squadra di club che come la Nazionale si avvicina a quel tipo di gioco. Una squadra che punta così tanto sulla qualità in mezzo al campo, un po' come faceva il Milan di Ancelotti. Non è questione di isola felice, io mi diverto anche nella Juventus: però in effetti Prandelli ha proposto un tipo di gioco che piace a tutti, che ti prende anche in allenamento e che è lo specchio di certe nostre caratteristiche. E quando hai gente con certe qualità, è giusto perlomeno provare ad imitare chi gioca il calcio più bello del mondo come il Barcellona».
Papà Antonio - Gente che si chiama Balotelli: «Ha fatto vedere di poter essere un fuoriclasse, ma deve farlo vedere ancora per molto tempo». Gente che si chiama Cassano: «Quando viene qui ha voglia di divertirsi e poi si comporta sempre meglio: diventare padre gli ha fatto bene». E gente che si chiama Pirlo, forse il più «spagnolo» degli azzurri di Prandelli: «A me piace tener palla, ma se c'è da verticalizzare subito non mi diverto meno: sono due culture diverse, diciamo che provo a fonderle». Senza perdere d'occhio la realtà: «La vittoria con la Spagna del 10 agosto è stata una grande prova contro una grande squadra, ma era un'amichevole, mentre ora ci aspettano due partite da Europeo: i gradini da salire per diventare sempre migliori sono ancora tanti».
Juve, almeno la Champions - Come ha dimostrato anche lo sciopero di domenica: «Con un po' di buon senso si poteva evitare, ma tanto poi la gente parla per sentito dire e spara che è stata colpa dei calciatori. Strumentalizzati, come dice Buffon? Quando c'è di mezzo il calcio, vogliono metterci tutti il becco. Comunque, a proposito di tasse, noi le abbiamo sempre pagate e non è un problema continuare a farlo: però devono farlo tutti, anche quelli che fino ad oggi non lo hanno fatto». E a proposito di gradini da salire, Pirlo dovrà farlo anche con la sua nuova squadra, la Juve, «perché il Milan sulla carta resta davanti a tutti e una distanza da loro come dall'Inter ancora c'è, anche se non così grande. Ora alla Juve è arrivata gente che vuole tornare a vincere: l'obiettivo è farlo il più possibile e come minimo qualificarci per la prossima Champions. I tifosi dicono che sono io il migliore acquisto? E chi dovevano dire?...».

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